Con la chiarezza e semplicita’ che ne ha fatto un icona della divulgazione scientifica per neofiti,  Piero Angela nel suo ultimo libro sull’energia “La sfida del secolo”,  spiega che il petrolio di per se’ non e’ energia e quindi di per se’ non e’ una fonte di ricchezza. Infatti prima della rivoluzione industriale e dell’ invenzione di motori e delle macchine chi avesse posseduto un pozzo di petrolio (o una miniera di carbone) non avrebbe saputo che farsene. E’ solo attraverso la combinazione di queste tecnologie (petrolio,carbone,..) con altre tecnologie (macchine, motori,..) resi possibili attraverso la conoscenza e l’ingegno dell’uomo che il petrolio diventa vera e propria fonte energetica  e contribuisce a creare grande ricchezza in quei Paesi che per primi la utilizzano.

Mentre leggevo questo libro mi sono capitate in mano vecchie fotografie che ritraevano spaccati della  civilita’ contadina subito prima e subito dopo l’avvio dei primi processi di innovazione e meccanizzazione in ambito agricolo avvenuti  a cavallo del secolo scorso. Una realta’ questa che conosco bene  in quanto la ditta Orsi Pietro & figlio,  fondata nel 1881 da mio trisnonno, fu’ tra le prime in Italia e in Europa a produrre quelle macchine e tecnologie (ad esempio il treno completo "locomobile-trebbiatrice-pressapaglia"  e i "trattori a testa calda" poi) che consentirono la prima automazione dei processi agricoli (una collezione delle principali macchine agricole prodotte dalla ditta Orsi tra il 1902 e il 1955 e’ esposta oggi al Museo Orsi  intitolato alla memoria di mio padre Roberto Giuseppe Orsi Carbone a Tortona). 

E’ quindi  solo attraverso la combinazione di tecnologie innovative con i nuovi combustibili che permise finalmente di far decollare la produttivita’ nel settore agricolo e mise in moto la prima grande ondata di sviluppo economico e creazione di ricchezza nel Paese, fino ad allora basato su di una economia di mera sussistenza (i.e. mi nutro di quel che  produco)

Il piano energetico del futuro, ci insegna quindi la nostra storia, non puo’ e non deve essere un semplice piano di approvvigionamento di questa o quella fonte da questo o quel Paese ( es. gas russo o algerino, petrolio saudita o iraniano,….), peraltro cruciale in una fase di progressivo esaurimento di alcune delle principali fonti utilizzate, ma deve  soprattutto contenere un piano ambizioso di ricerca ed innovazione tecnologica, ovvero la ricerca di combinazioni nuove ed  innovative tra le diverse risorse presenti in natura che di per se’ stesse non hanno come detto grande valore (es. combustibili fossili, sole, vento, uranio, idrogeno,…) e nuove tecnologie, macchine, sistemi e motori ancora da inventare. Sara’ questa la possibile merce di scambio, oltre al denaro, che consentira’ di accedere alle scarse risorse energetiche e porra’ le basi per un nuovo sviluppo economico del Paese.

L’Italia, e’ risaputo, e’ un’economia di trasformazione. Ovvero non possedendo che in minima parte l’ energia e le materie prime, basa la propria possibilita’ di creare ricchezza (per poi di poterla distribuire/condividere ad esempio tramite sistemi di welfare) producendo prodotti e servizi competitivi da vendere sui mercati internazionali. E questo si riesce a fare a livello di sistema e in scala maggiore e crescente quanto piu’ forti si e’ nella ricerca, nella scuola/educazione, nei settori tecnologicamente avanzati.

In altre parole occorre saper innovare e produrre prodotti e servizi che incontrano sempre meglio il favore e offrono un maggior valore ad un numero crescente di clienti nel mondo e che sappiano generare valore sufficiente  per compensare il costo crescente dell’energia (la cosiddetta bolletta energetica nel 2006 pari al livello record di E48 Miliardi pari al 3,3% del PIL) e delle materie prime, oltreche’ il costo del lavoro (che in Italia per unita’ prodotta e’ tra i piu’ alti tra i paesi avanzati) e una burocrazia asfissiante e costosa.

Per vincere a livello di sistema e creare ricchezza quindi  occorre “sapere innovare” e questo  indipendentemente dal modello politico di riferimento ovvero  “democrazia sociale” o “il liberalismo” che divergono su come condividere e ridistribuire la ricchezza generata).  

Un grande progetto politico, una visione illuminata del Paese per il futuro dovrebbe avere  "l’innovazione e la competitivita’" come obiettivo prioritario da cui articolare poi una politica dell’offerta” coerente a tutti i livelli. Negli anni novanta c’e’ stato "l’euro" a coagulare gli sforzi degli italiani verso una meta comune, oggi serve un nuovo ambizioso  progetto su cui scommettere il nostro futuro e quello dei nostri figli,  ma non si chiama  "Topolino"!

In un fondo di de Bortoli sul Il Sole 24 Ore, prendendo spunto da alcuni commenti fatti da Profumo e Scaroni circa le caratteristiche degli italiani, veniva evidenziato il disallineamento sempre piu’ marcato tra efficienza aziendale ed (in)efficienza generale. Cerchiamo di approfondire il perche’ di questo divario e cosa bisognerebbe fare per ridurlo.

Provando a semplificare, tre sembrano essere le dottrine politiche prevalenti in Europa ed in Italia:

         la “Tradizione”, ovvero mi comporto secondo quanto gli usi/costumi e la religione mi dicono sia giusto fare, che e’ stata l’idea politica dominante fino alla rivoluzione industriale,

          il “Liberalismo”, ovvero posso fare cio’ che voglio finantoche’ non urto gli altri e contribuisco a creare valore, dove lo Stato ha un ruolo marginale per assicurare alcuni beni pubblici irrinunciabili come l’ educazione scolastica (che permetta a tutti di entrare nel sistema con le stesse chance), la sicurezza e il rispetto delle leggi di mercato (che fa’ si che una parte non tragga indebito vantaggio su un’altra) , mentre l’equita’ del sistema e’ lasciata al dispiegarsi delle forze di mercato (minima e’ la politica di redistribuzione e sostegno)  che e’ il credo politico dominante nel mondo anglosassone (USA, UK,..)

          la “Democrazia Sociale”, ovvero lo Stato interviene (cosiddetto welfare state) per garantire l’uguaglianza tra i cittadini e che ai piu’ deboli vengono riconosciuto un livello minimo di sostegno indipendentemente dal loro contributo al sistema (con forti politiche redistributive ed un intervento diretto dello stato nell’economia), che e’ il credo politico nato in Europa con il comunismo all’inzio del secolo scorso e poi stemperatosi nelle social democrazie del dopoguerra.

Tre le sfere a cui queste dottrine possono essere applicate: quella “Sociale/Generale” e quella “Aziendale” (oltre alla “Individuale” dove resta prevalente, in Europa, la Tradizione).

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Il Governo Italiano ha recentemente deciso di cedere il controllo di Alitalia ai privati (finalmente viene da esclamare per i contribuenti italiani!).  Alitalia brucia infatti circa trecento milioni di Euro ogni anno che lo Stato ( ovvero noi cittadini contribuenti) abbiamo sin qui ripianato, opera in un settore molto competitivo (si pensi al successo dei carrier low cost), ha un parco velivoli vecchio e una struttura di costi (del lavoro in particolare) molto rigida e non competitiva (grazie alla miopia sindacale) e in questi anni ha perso quote di mercato a favore della concorrenza internazionale. Concorrenza che quando va’ bene riesce a far utili per remunerare il costo del capitale investito (il settore del trasporto aereo non offre extra rendite).

Diversi tra i principali imprenditori italiani sollecitati dal Governo ad intervenire nell’operazione hanno dato una disponibilita’ di massima a guardare all’operazione. I sindacati chiedono addirittura che i dipendenti diventino gli azionisti di controllo (forse senza nessun salvagente sarebbe la soluzione  ottimale). Un po’ di cautela e’ d’obbligo, ma la Borsa e i piccoli risparmiatori gia’ festeggiano. Ma l’attenzione dei cittadini consumatori va posta nel “come” la privatizzazione verra’ condotta. Lo Stato si sa’ e’ in conflitto di interessi tra massimizzazione dell’introito dalla cessione, protezione dei dipendenti pubblici e protezione del cittadino consumatore dall’altro.

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