Sono appena rientrato da un viaggio negli USA tra New York e Miami. Di solito rientro dagli USA con dosi significative di entusiasmo, fiducia e voglia di fare che là trovi in dosi massicce e contagianti, soprattutto se rapportate alla rassegnazione di noi italiani. Questa volta non è stato così; al contrario sono tornato più preoccupato di quanto non lo fossi prima.

Alcuni macro trend che anche un turista girando lqua e là per gli US tocca con mano:

– 700/800 mila licenziamenti solo a New York tra professionals, 2,8 milioni nel Paese. Si organizzano già i party downtown NY a cui vengono messi i bracialetti per identificare coloro che hanno perso il lavoro e gli psicologi li aiutano a risettare le aspettative e cercare strade alternative
– centinaia se non migliaia di grattacieli a Miami ancora in costruzione o vuoti e prezzi di vendita a picco: un appartamento medio và ora per $200.000 ovvero €140.000 ma chiunque ti sconsiglia l’acquisto perchè impossibile rientrare dall’investimento
– i consumatori americani come affetti da post “sbornia collettiva” hanno smesso o meglio fortemente rallentato di consumare. I negozi a New York erano o vuoti o pieni con offerte a prezzi di liquidazione (decine retailers chiuderanno i battenti)
– le banche hanno prima mietuto ingenti perdite per la crisi finanziaria nell’immobiliare/mutui subprime e poi hanno avviato un fortissima stretta creditizia che stà portando al fallimento di molte aziende meno solide e più indebitate: il peggio stà per arrivare
– il tasso di disoccupazione è destinato ad aumentare e così la perdita di reddito attraverso i consumi a ridurre ancora il PIL
– la crisi dell’economia reale porterà nuove perdite al sistema finanziario che non consentirà al credito di ripartire
– i prezzi di tutti gli assets finanziari, anche a causa della perdita di fiducia a seguito di scandali finanziari e raggiri di dimensione eccezionali e su scala globale (leggi Madoff, per fortuna questa volta non un italiano!), e delle commodity sono in avvitamento riducendo ulteriormente la ricchezza accumulata le pensioni future e quindi la capacità di spesa dei consumatori
– il tasso di risparmio è negativo e il livello di indebitamento del settore privato fà rabbrividire
– il tasso di disoccupazione strutturale dell’economia americana è ben più alto di quello drogato visto in questi anni
– l’economia globale è integrata e trainata dagli USA e non esiste chi si possa sostituirli in quella funzione

Credo non si tratti della solita recessione ciclica ma di un cambiamento epocale. Il modello di sviluppo che ha trainato gli USA ed il mondo intero negli ultimi sedici anni è morto e sepolto. Alcuni settori/industrie così come li abbiamo conosciuti (es. certa finanza e immobiliare) cancellati. Gli USA starebbero per entrare in un periodo di “depressione” (definita dagli economisti come una riduzione del PIL di almeno 20% e contrazione del prodotto interno lordo per almeno 2 mesi). Considerato che il PIL USA è in contrazione dll’ultimo trimestre 2007 e che si stima che almeno 1% della crescita del PIL negli ultimi 16 anni sia frutto di pura speculazione sui prezzi delle attività, già entro i prossimi 2/3 trimestri potremmo salutare una nuova depressione, una delle 7/8 degli ultimi 100 anni.

Come/cosa fare ad uscirne? Dove e come reimpiegare le centinaia di migliaia (presto milioni) di disoccupati fuoriusciti dal settore finanziario e immobiliare e tra poco da quel che resta del manifatturiero (auto,…) e da gran parte da altri servizi anch’essi in crisi?

Gli USA dovranno ricostituire uno stock di capitale finanziario attraverso il risparmio, di capitale umano attraverso la formazione e l’innovazione e di capitale materiale attraverso l’ammodernamento infrastrutturale compatibili con un livello di PIL ed un tasso di disoccupazione simile a quello di cui siamo testimoni pre crisi e dove il valore sia generato attraverso consistenti aumenti di produttività o di innovazione e non dall’aumento artificiale dei prezzi delle attività (l’altro ieri i prezzi delle azioni internet, poi quelli delle attività immobiliari infine quelli delle commodity). Solo così si potrà tornare a tassi di disoccupazione e quindi ad un livello di reddito pro capite simili al livello pre crisi. Ma tutto questo dovrà avvenire, questa volta, con il vincolo di essere “ambientalmente” sostenibile per l’intero pianeta e non come avvenuto negli ultimi anni a suo discapito.

Nella patria del capitalismo e della free market economy l’avvio di questa nuova fase deve obbligatoriamente passare da un ingentissimo intervento pubblico che il nuovo Presidente si stà apprestando ad avviare. Come finanziarlo in un economia già così pesantemente indebitato? Una strada potrebbe essere quella di ridurre gli interventi militari all’estero e le ingenti spese associate per lo più per la conquista del petrolio in giro per il mondo. Certo è facile capire come in un sentiero così stretto e difficile qualsiasi errore o spreco di risorse sarebbe fallimentare e manderebbe a picco il dollaro e il Paese portandolo questa volta davvero verso un lento ed inesorabile declino.
Gli USA sono un Paese molto ricco, coraggioso e oroentato al cambiamento. Credo e spero che ce la possano fare anche se temo ci vorrà tempo prima di vedere qualche risultato (non prima di 2010/2011) e che i nostri amici americani dovranno recuperare quella di voglia di lavorare e soffrire che forse imparando da noi europei hanno perso.

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