Eureka we failed! Cosi’ titolava la copertina di Business Week tre settimane fa’.  All’interno l’articolo spiega come la chiave dei grandi cambiamenti e delle grande innovazioni abbia sopprattutto a che vedere con organizzazioni che hanno saputo promuovere ed incentivare la cultura della sperimentazione, del rischio e quindi dell’insuccesso. Addirittura consiglia l’articolo occorre festeggiare gli insuccessi e parlarne apertamente. Solo cosi’ infatti si potranno capire gli errori commessi ed evitarli la volta successiva, il vero grande valore dell’insuccesso. Nell’articolo grandi manager e imprenditori parlano dei loro insuccessi e delle importanti lezioni che ne hanno tratto.

In Italia la cultura dell’insuccesso e’ pressoche’ inesistente come quella del rischio e quindi del fare impresa: addirittura la parola insuccesso negli affari non esiste, si parla solo di “fallimento” che il piu’ delle volte, se fraudolento, ha connotazioni penali legate a distrazioni, occultamenti, arricchimenti di una parte di soci/manager/istituzioni finanziarie nei confronti di altri risparmiatori, etc. ..(es. Parmalat, Cirio, Finpart, Giacomelli,…..). In altre parole nel sistema Italia non e’ consentito “non avere successo”, le aziende/i progetti devono andare bene per forza o essere tenute in piedi a qualsiasi costo, il che si traduce nell’assenza di innovazioni dirompenti (che come detto sopra hanno l’insuccesso il trial and error come “way of doing it”)  perche’ nessuno vuole prendere il rischio.


Questa cultura del non accettare il rischio d’impresa unita all’assenza di mercati liberalizzati su cui trovar spazio adeguato per far decollare le nuove idee azzera di fatto l’innovazione e quindi la competitivita’ e lo sviluppo del Paese. Qualsiasi statistica prendiate conferma il fenomeno in Italia. Qualcuno va ancora in giro a raccontare che l’innovazione la fanno solo le grandi aziende: negli USA, uno tra i Paesi piu’ innovativi, ma anche in Irlanda, Spagna e’ vero proprio il contrario. Sembra un paradosso ma il declino di Italia SpA e’ dovuta alla mancanza nel Paese anche di una cultura dell’insuccesso e del rischio che e’ poi la cultura del fare impresa!

Personalmente di insuccessi me ne intendo. Molti di voi ricordanno probabilmente i problemi finanziari che ad un certo punto stavano portando ePlanet, societa’ che fondai nel 1999 e quotai in Borsa nel 2000, oltre il punto di non ritorno. ePlanet si salvo’ grazie alla fiducia di nuovi investitori istituzionali e privati che si convinsero ad investire e a sostenere ancora il suo ambizioso progetto che oggi e’ stato in buona parte realizzato e sta’ portando i primi frutti: oggi ePlanet , che nel frattempo ha cambiato nome in Retelit, ha annunciato da poco il suo primo utile. Purtroppo tanti azionisti che avevano dato fiducia all’azienda in sede di quotazione hanno perso dei quattrini. Me ne dispiace. Ma guardando le performance che in quegli anni hanno prodotto  gran parte dei titoli tecnologici/tmt in Italia, e nel mondo i risultati non sarebbero stati sono molto diverse da quelli ottenuti puntando su ePlanet. E tante persone che erano nel gruppo allora oggi non lo sono piu’ : so’ che molti di loro stanno facendo carriera ed avendo successo altrove. Non ne avevo dubbi. Altri forse hanno perso il lavoro e lo stanno ancora cercando. Spero di no ma se cosi’ me ne dispiace molto.

Il mio insuccesso pero’ resta tutto. Sicuramente ho imparato di piu’ nei momenti difficili dell’insuccesso che quando il vento soffiava in poppa. Ecco alcune delle importanti lezioni tratte dal mio insuccesso:

  1. “Assicurati di avere tutti i capitali necessari e qualcosa in piu’”. Mai lanciare un progetto/investimento prima di avere tutti i soldi necessari e forse anche di piu’; anche a costo di una maggior diluizione.
  2. “I soldi ci sono solo quando sono accreditati sul conto corrente”.  I soldi devono essere in banca e non lettere/promesse/impegni a cui qualcuno (es. istituzioni finanziarie) potra’ decidere di non dar seguito per qualsivoglia ragione;
  3. “Il giusto prodotto/servizo al momento opportuno”. Nel progettare il nuovo occore sempre partire dal cliente non dal sentito dire comune; occorre sapere che beneficio otterra’ dal nuovo prodotto/servizio (non sempre facile da determinare) e dai prodotti esistenti, con che facilita’ e rapidita’ sara’ disposto a adottarlo/sosituirlo
  4. “Considera quale strategia stai perseguendo e adatta le azioni a quella stessa”.  Il timing appropriato, meno importante in un progetto piu’ industriale, puo’ essere la chiave in un progetto di sviluppo tumultuoso dove l’acceso ai mercati e ai capitali puo’ avvenire sono sotto certe condizioni.
  5. “Il successo e’ di tutti, l’insuccesso e’ solo il tuo” . Tante persone che ti sono amiche e alleate e supportano il progetto nella buona sorte sono altrettanto pronte a scaricarti e mollare ai primi sintomi di difficolta’, pensando solo al proprio tornaconto personale. Ma il capitano sta’ sulla nave, sempre, anche quando questa sta’ affondando.
  6.  “Comunicare, comunicare, comunicare”….. soprattutto quando le cose non vanno bene (e forse comunicare un po’ meno quando le cose vanno bene). E non solo all’interno dell’azienda con gli azionisti, il management e i collaboratori. Anche verso l’esterno.  Anche perche’ se non lo fai tu lo faranno gli altri (azionisti, dirigenti, dipendenti, futuri soci,… ) per te distorcendo molte volte la verita’ a loro piacere e nel loro interesse. I media ti incensano per i successi e poi aspettano l’unica altra vera notizia di interesse: il fallimento tuo o del tuo  progetto.
  7. “Occorre sapersi accontentare”. A volte l’insucesso arriva perche’ non ci si e’ saputo accontentare di un successo precendente e si e’ osato troppo. Certo la bolla di Internet non ha aiutato. Occorre essere ambiziosi ma aver sempre presente da dove si era partiti e con quali obiettivi.

Alessandro Benetton, tra i pionieri con 21 Investimenti del venture capital e private equity in Europa, subito dopo l’avvenuta ricapitalizzazione mi disse: “Bravo Luigi, complimenti per il tuo insuccesso!”. All’inzio pensavo scherzasse. Poi capii.

Quello che posso dire e’ che ho creduto, ho preso il rischio, ho fatto, ho sbagliato, ho imparato sempre in buona fede e onestamente. Ora sono sicuramente piu’ attrezzato per affrontare  una nuova iniziativa imprenditoriale cercando di evitare gli stessi errori.

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